Oggi un’imposta patrimoniale per “smaltire” il debito pubblico italiano, visto il quadro politico in essere e gli attori che “battono la scena”, obiettivamente non è più proponibile.
Il momento magico per tagliare il debito pubblico italiano mediante apposita imposta patrimoniale è svanito. Era possibile fare questo intervento di carattere straordinario all’epoca del Governo Monti.
Allora vi erano tutte le condizioni, politiche, psicologiche, di mercato, tali da poter supportare un’operazione nazionale di tale portata.
Essa richiedeva fermezza ed onestà di intenti, visione da statisti e, fatto primario, dialogo franco e serrato con tutti i cittadini italiani sulla necessità ed opportunità di una scelta di ampio respiro a livello nazionale ed internazionale.
Oggi una tale operazione, visto il quadro economico/politico in essere e gli attori che “battono la scena”, obiettivamente non è più proponibile.
Intanto è il momento di chiarire se c’è effettiva volontà di realizzare gli Stati Uniti d’Europa, senza equivoci e sotterfugi ed il tema del debito pubblico eccessivo va affrontato con saggezza e lungimiranza in ambito europeo.
Personalmente suggerirei di trasferire ed accollare alla BCE la quota di debito pubblico eccedente il 60% del PIL (tale è la percentuale dettata dall’Unione europea che, occorre sottolinearlo, ha tratto vantaggio dalla spesa pubblica eccedentaria dei Paesi partecipanti).
In tal modo si placherebbero le ansie sul debito sovrano e si faciliterebbe la crescita sostenibile nei Paesi dell’Unione.
Va sottolineato che il nostro Paese registra un rapporto tra debito pubblico (2.228 miliardi di euro a marzo 2016) e PIL nazionale pari al 134,8 per cento. Per ridurre detto rapporto del 134,8 per cento a quello immaginato e programmato in sede europea del 60 per cento, il Governo italiano dovrebbe rimborsare circa mille miliardi di euro di buoni del tesoro (Bot) emessi a più riprese per rifinanziarsi.
All’operazione straordinaria sopra ipotizzata provvederebbe la BCE, assumendo su di se i mille miliardi in questione, e riportando la situazione finanziaria italiana ad un punto di partenza tale da renderla competitiva rispetto agli altri 17 partecipanti al “gioco” della moneta unica e condivisa.
Per quanto superfluo, anche altri Paesi europei con moneta unica e con rapporto debito/Pil eccedentario beneficerebbero dell’ipotizzato intervento straordinario. Il parametro del 60% con l’occasione potrebbe essere innalzato, in ipotesi, all’80%, salvo progressivi ridimensionamenti.
Di fatto si tratterebbe di rimodulare e finalizzare l’allentamento quantitativo (quantitative easing) della Banca Centrale Europea, consistente ad oggi nell’acquisto titoli degli Stati europei legati alla moneta unica, per 80 miliardi di euro ogni mese.
Nel contempo si dovrebbe anche nominare il Ministro dell’economia europeo dotato di visione complessiva e poteri di intervento su politiche fiscali e di spesa comunitarie.
Al Ministro dell’economia UE, in sintonia con il Parlamento europeo, dovrebbe essere attribuita la facoltà di emettere eurobond per finanziare investimenti nelle zone dell’Unione con alta disoccupazione e strutture produttive inadeguate.
Su questo aspetto essenziale il Governatore tedesco Weidmann tace: probabilmente la soluzione indicata (emissione eurobond) non è in sintonia con le prospettive e le strategie della Bundeskank e dei governanti tedeschi.
Con il trasferimento di quote di debito pubblico alla BCE nei casi previsti, nessun rischio graverebbe sulle obbligazioni statali possedute dalle banche, come paventato oggi, strumentalmente, dalla Germania.
Resta l’esigenza di lavorare con onestà di intenti per completare la costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
Il referendum indetto per il 23 giugno 2016 in Gran Bretagna allo scopo di “sganciarsi” dall’Unione europea sarà un passaggio importante e occasione salutare per saggiare la consistenza e la forza di coesione della stessa “Unione”.
La vittoria del “SI” farebbe un grosso danno alla Gran Bretagna in termini di isolamento politico e commerciale, con peggioramento della sua “complessiva cifra di affari”.
Segnerebbe anche una rimodulazione della visione e del concetto di Europa allargata, partecipativa e solidale.
Commento a cura di Santolo Cannavale – www.santolocannavale.it