Le banche italiane nel nuovo ordinamento europeo

L’economia Italiana era già debole quando fu investita dalla crisi finanziaria globale del 2007-2008 ed il sistema finanziario era sbilanciato verso le banche.

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L’economia Italiana era già debole quando fu investita dalla crisi finanziaria globale del 2007-2008: aveva un sistema produttivo incapace strutturalmente di generare innovazioni, efficienza e vero sviluppo e un sistema finanziario sbilanciato verso le banche.

La vecchia “foresta pietrificata” del sistema bancario italiano si era già smossa da tempo, ma non poche banche erano attardate da vizi antichi di governance e di gestione. I fattori di debolezza si alimentavano l’un l’altro, erano oggetto di convegni e denunce pubbliche. Essendo essi connaturati col Paese e con la sua storia, almeno a quella recente, una soluzione appariva lontana. Quando si prende un febbrone avendo l’organismo già indebolito si corrono seri rischi, e l’Italia li ha corsi.

Ne sta uscendo solo oggi, con tendenze incoraggianti, anche se ancora non decisive. Ciò che è accaduto fuori dei nostri confini in questi anni – lo sforzo mondiale di ri-regolamentazione della finanza, l’Unione bancaria in Europa e i suoi primi passi accidentati – sarà materia d’analisi per gli storici del futuro – l’Unione bancaria europea è tra noi e occorre farla funzionare bene, a cominciare dal Meccanismo Unico di Vigilanza (SSM) e dal Meccanismo Unico di Risoluzione (SRM) insediati a Francoforte e a Bruxelles. Tornerò su questo più avanti.

Da un punto di vista normativo l’Unione bancaria poggia formalmente su atti numerosi e complessi che sono i seguenti:

– per la sola area dell’euro, i due Regolamenti SSMR e SRMR istitutivi dei nuovi organismi incaricati della vigilanza e della risoluzione delle banche, del 2013 e 2014 rispettivamente;

– per l’intera Unione europea, le Direttive CRD-IV (Capital Requirements Directive), seguita dal Regolamento CRR (Capital Requirements Regulation), tutt’e due del 2013;

– la BRRD (Banking Recovery and Resolution Directive), del 2014;

– la DGSD (Deposit Guarantee Schemes Directive), pure del 2014.

Alcuni di questi atti sono ora in corso di aggiornamento e affinamento.

Sul tema della “risoluzione” delle banche, fondamentale nel disegno dell’Unione bancaria, si è aggiunta la Comunicazione della Commissione europea del luglio 2013, che ha innovato l’interpretazione che la medesima Commissione aveva dato fino a quel momento delle norme sugli aiuti di Stato nel settore bancario.

La combinazione della BRRD, della DGSD e della Comunicazione della Commissione europea del luglio 2013 ha avuto un ruolo importante nelle vicende delle banche italiane in dissesto, liquidate, “risolte”, o cedute ad altre banche.

L’Unione bancaria ha un senso se mercati e risparmiatori si convincono che le banche europee sono europee, prima che italiane o tedesche o francesi. Di conseguenza, se una banca va male dev’essere affare europeo, non del paese in cui quella banca ha la sede principale.

Questo implica una condivisione di rischi, a livello sia privato sia pubblico, che al momento non è accettata in vari paesi. Per molte buone ragioni, intendiamoci. Tuttavia dev’essere chiaro un punto: le banche corrono molti rischi dipendenti dal modo in cui sono gestite, ma poi condividono con lo Stato in cui sono insediate – e i cui titoli pubblici scelgono di avere in portafoglio – il rischio cosiddetto sovrano.

Nell’area euro questo non dipende oggi solo da fattori idiosincratici di quello Stato, dipende anche dalla possibilità, che i mercati tuttora valutano anche se molto ridotta rispetto al 2011, di una rottura dell’euro e di una ridenominazione dei loro crediti in euro in valute nazionali rinate.

Questa parte di rischio va azzerata ribadendo a ogni piè sospinto che l’euro sarà preservato, sempre e comunque. Procedere con l’Unione bancaria europea implica di necessità la condivisione dei rischi bancari: occorrerà quindi che tutti i paesi lavorino per renderla possibile.

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